Esempi di metodi e strumenti di ricerca nelle scienze psicosociali

 

Da sempre l’uomo, per la comprensione degli eventi, ha cercato di strutturare dei metodi o individuare dei mezzi che lo conducessero alla verità o alla conoscenza del suo ambiente di vita. Una prima via verso la conoscenza, adottata o accettata dall’uomo, è l’autorità: l’autorità del genitore o del leader (signore) del gruppo di appartenenza. Questo primo “strumento” di conoscenza, come si può intuire, non è attendibile da un punto di vista scientifico perché la fonte stessa, che è autoreferenziale, si basa su dati non oggettivi, ossia su concetti tratti da una rielaborazione intuitiva e personale della realtà. Un altro strumento di conoscenza è la logica, con essa l’uomo ha cercato e cerca ancora di dare delle risposte a degli interrogativi importanti. Però, anche la logica come strumento di conoscenza dà come risultato finale delle teorie non provate sul piano pratico (non sperimentate). Un altro metodo di conoscenza è quello definito intuitivo, esso si basa sui processi cognitivi spontanei piuttosto che sulla logica o sul ragionamento. Le intuizioni si suddividono in intuizioni dettate dal senso comune e intuizioni mistiche. Le prime traggono origine dall’“accordo” tra le opinioni personali (costrutti personali) e i saperi specifici del gruppo di appartenenza (rappresentazioni sociali). Da quanto detto si può intuire che il senso comune, come mezzo di conoscenza, ha due limitazioni:

a)     i criteri che portano verso la conoscenza cambiano da un epoca all’altra e da un luogo all’altro;

b)     i criteri assunti a leggi esplicative sono determinati dal successo di una prassi, e, quindi, non da origine a nuove conoscenze.

Le intuizioni mistiche, mentre, sono uno strumento di conoscenza basato esclusivamente sull’intuito associato a degli stati di coscienza alterati (crisi mistica, esperienze trascendentali).

Per concludere, l’ultima via intrapresa dall’uomo per arrivare alla conoscenza della realtà è quella del metodo scientifico (con Galileo). Questo metodo, per arrivare alla comprensione degli eventi, segue delle regole scandite da alcune fasi ben determinate, ossia: a) definizione del problema; b) formulazione di una ipotesi; c) raccolta dei dati; d) elaborazione dei dati e conclusione. Questa procedura dà la possibilità di conseguire conoscenze in base a delle osservazioni obiettive, inoltre, le osservazioni sono raccolte in modo oggettivo attraverso delle schede di registrazione che permettono una descrizione fedele dell’evento studiato, tanto che lo stesso può essere ripetuto, osservato, e studiato anche da altri ricercatori. L’oggettività e la ripetibilità sono le uniche caratteristiche che contraddistinguono ciò che è scienza da ciò che non lo è.

Anche l’osservazione può essere inserita nei metodi adottati dall’uomo per conoscere la realtà che lo circonda. L’osservazione, però, può essere definita scientifica solo se è obiettiva, ossia quando chi osserva non mette nulla di suo limitandosi così a descrivere il fenomeno, e ripetibile: quando le caratteristiche dello stesso fenomeno possono essere osservate e descritte in modo identico anche da altri ricercatori. La spiegazione del fenomeno è un passo successivo all’osservazione, infatti, essa tende a chiarire la regolarità della comparsa del fenomeno e le relazioni esistenti tra cause che determinano l’insorgenza dello stesso. Quindi, la spiegazione del fenomeno porta alla stesura di una legge, esempio: la frustrazione porta ad un aumento dell’aggressività, all’aumentare della frustrazione, simmetricamente aumenta anche la carica aggressiva.

Stili di osservazione

1) L’osservazione occasionale

L’osservazione occasionale è definita come l’attività che quotidianamente ognuno di noi compie, il più delle volte in forma non intenzionale, per l’analisi delle informazioni che i nostri organi di senso raccolgono. Alcuni autori, per la presenza di questa dipendenza dell’osservazione dagli organi di senso, preferiscono definirla naturale, intendendo con ciò sottolineare l’assenza di strategie o strumenti artificiali per la raccolta di dati. Altri autori, mentre, intendono per osservazione naturale o naturalistica un tipo di osservazione etologica, dove l’oggetto dell’osservazione si trova nel suo ambiente naturale e l’osservatore non ha nessuna possibilità di manipolare le diverse variabili presenti: l’unica variabile presente è rappresentata dall’osservatore stesso, se non ben “mimetizzato”. Il gran numero di informazioni sul nostro e sull’altrui comportamento, che ognuno di noi possiede e quotidianamente raccoglie, sono riconducibili prevalentemente all’osservazione occasionale; i nostri pregiudizi, le idee che ci siamo formati riguardo i nostri vicini, colleghi, alunni e ecc., derivano il più delle volte da questo tipo di osservazione e dall’analisi di quelle informazioni che i nostri organi di senso (vista – udito – ecc.), in forma occasionale, ci permettono di raccogliere. Da quanto detto appare evidente che tale tipo di osservazione, a causa della soggettività ed asistematicità che la caratterizza, non può che essere scarsamente attendibile, scientifica, e, quindi, non utilizzabile in una attività di ricerca e di intervento adeguatamente programmato. Una osservazione non controllata, essendo soggetta ad interferenze e generalizzazioni dovute ai nostri stereotipi e pregiudizi, è estremamente lacunosa ed imprecisa mancando sia di obiettività, sia di specifici momenti per la registrazione e l’analisi dei dati che essa stessa presenta.

Una madre attenta e sensibile, ad esempio, può senza dubbio essere in grado di osservare con cura il comportamento del proprio bambino, ma se non ricorrerà all’annotazione e alla registrazione di ciò che osserva, destinerà le sue informazioni ad essere operativamente inutili in quanto, prima o poi, andranno perdute, dimenticate: dopo qualche mese, ad esempio, non riuscirà più a precisare la situazione in cui il suo bambino è riuscito a pronunciare esattamente una parola. Tutto ciò accade perché nell’esperienza quotidiana i fatti osservati vengono immagazzinati nella memoria, esponendoli così a tutti i fenomeni di deformazione ed oblio che sono propri di tale magazzino. Tutto ciò ha portato nel tempo ad una progressiva diminuzione di importanza data a questo tipo di osservazione, infatti, man mano che la psicologia, come anche altre discipline che usano l’osservazione come strumento di studio, ha abbandonato la pratica dell’osservazione occasionale ha iniziato ad avere considerazione ed influenza nel panorama scientifico.

L’abbandono di questa forma di osservazione è stato particolarmente necessario per la psicologia, tanto che il suo progresso scientifico è andato aumentando e riconosciuto valido di pari passo al rifiuto della spiegazione dei fatti descritti e derivanti da forme di osservazione tratte dall’esperienza quotidiana. La pretesa degli psicologi di essere scienziati deriva dalla loro abilità di raccogliere dati che abbiano i requisiti di oggettività e riproducibilità.

 

2) L’osservazione sistematica

A differenza di quella occasionale, l’osservazione sistematica viene intenzionalmente utilizzata all’interno di un preciso progetto di ricerca e di studio. In questo tipo di osservazione la caratteristica di sistematicità è legata alla presenza di precisi schemi di riferimento che permettono la classificazione e la categorizzazione dei fenomeni osservati. L’osservatore deve, in altre parole, limitarsi ad osservare i fenomeni che sono in oggetto di studio, ossia quei fenomeni ritenuti significativi da una determinata teoria. Inoltre, l’osservazione dei fenomeni deve essere condotta attraverso l’ausilio di apposite schede di registrazione e di codifica dei dati. Questa sistematicità, dà a questo metodo di osservazione un carattere di forte obiettività e precisione.

Sono state mosse diverse critiche nei confronti di questo procedimento di ricerca, perché considerato riduttivo nelle categorizzazioni teoriche dei fatti da osservare ed anche perché rifiuta in modo categorico i dati osservati e registrati in modo empirico: in assenza di un riferimento teorico e di strumenti di registrazione precisi ed obiettivi (imparziali).

Nei confronti di queste critiche possiamo dire che, è inevitabile ridurre il campo di interesse dell’oggetto-fenomeno osservato operando delle classificazioni, ossia suddividere il fenomeno in tante sotto categorie (osservazione molecolare), per evitare l’errore della genericità delle impressioni personali.

Possiamo dire ancora, che, in assenza di osservazioni sistematiche gli interventi sono affidati al caso e alle scelte teoriche ed ideologiche dell’operatore-osservatore, piuttosto che alle caratteristiche e alle esigenze della situazione da studiare.

 

Tipi di osservazione sistematica

1) L’osservazione naturalistica

L’osservazione naturalistica è quella che viene attuata quando i comportamenti e i fenomeni che sono oggetto di indagine vengono considerati allo stato naturale. Particolarmente rappresentative di questo tipo di osservazione sono le ricerche che gli etologi compiono sul comportamento animale: vengono ricercate le situazioni di vita reale e viene osservato unicamente ciò che accade, evitando qualsiasi stimolazione che potrebbe alterare la spontaneità dei comportamenti in oggetto d’esame. Una variazione del metodo di osservazione naturalistico è il metodo di osservazione naturalistico in un ambiente naturale strutturato: questa tecnica prevede l’inserimento di uno stimolo (oggetto non naturale) nell’ambiente naturale, e si osserva come esso influisce sul comportamento naturale del soggetto in esame. In questa situazione lo stimolo assume la valenza della variabile indipendente (continua o quantitativa), mentre, il comportamento assume la valenza della variabile dipendente (discontinua o qualitativa). Un’altra variazione del metodo naturalistico è quello denominato metodo di osservazione clinico o metodo di osservazione in ambiente semistrutturato (per ambiente strutturato si intende un’osservazione condotta in laboratorio), metodo utilizzato da Piaget nello studio del comportamento infantile.

Dalle tecniche di osservazione naturalistiche e cliniche si sono sviluppate delle procedure di raccolta di dati, che prevedono una rigida sistematicità e controllo delle variabili implicate nella manifestazione del fenomeno in oggetto di studio.

2) L’osservazione diretta

Questo metodo di osservazione viene definito così in quanto non richiede l’uso e la presenza di particolari congegni per l’osservazione stessa. Questa metodica, anzi, considera la presenza di strumenti elettronici negativa, inutile ed interferente.

Comunque, le caratteristiche salienti dell'osservazione diretta sono due:

a) l'assenza, appunto, di strumenti e dispositivi di osservazione;

b) l’immediatezza con cui vengono compiute le registrazioni.

La prima di queste caratteristiche esclude l’uso di test, di interviste, e la seconda esclude specialmente la descrizione retrospettiva dei fenomeni studiati.

Secondo questo metodo eliminando lunghi intervalli di tempo tra il momento dell’osservazione e quello della registrazione, si tende a ridurre la possibilità di incorrere in errori dovuti, da un lato, al gioco della memoria e, dall’altro, a quello delle deformazioni personali e soggettive dell’osservatore. Tutto ciò richiama, tuttavia, la necessità di predisporre accuratamente l’operazione di osservazione ricorrendo all’uso di adeguati sistemi di registrazione e raccolta dei dati osservati. E' necessario, in altre parole, che l’operatore che intende utilizzare l’osservazione diretta disponga, ad esempio, di una scheda in cui siano già riportate le caratteristiche del fenomeno che è chiamato ad osservare o di una scala per la valutazione differenziata di certi tratti (secondo il grado di intensità, frequenza, ecc.); tutto ciò gli permetterà di giungere, attraverso una selezione. (spaziale, cronologica, di fattori, di eventi, di fenomeni, ecc.) variamente giustificata, al possesso delle informazioni necessarie per un certo proposito. Infine, occorre che queste osservazioni siano raggruppabili: lo saranno se potranno essere misurate (e la misurazione quantitativa riguarda anche la qualità). Nella ricerca sono sempre in questione i dati, ma di volta in volta, si tratta di stabilire con quali strumenti essi possano essere raggruppati al meglio o in modo più conveniente, rispetto agli scopi e alle possibilità della ricerca.

 

c) L’osservazione documentaria

Questo metodo di osservazione si caratterizza per l’assenza di coinvolgimento dell’osservatore, sia come elemento nuovo dell’ambiente naturale e sia dal punto di vista delle possibili deformazioni personali a cui può essere soggetto il ricercatore.

Questo procedimento di raccolta di dati viene particolarmente utilizzato nelle ricerche a carattere bibliografico e storico, che consistono essenzialmente nel passare in rassegna le informazioni contenute e raccolte in documenti di diversa natura: notizie di archivio (verbali, atti, ecc.) alle biografie, alle autobiografie e così via. Dal punto di vista metodologico si possono includere tra i documenti anche le registrazioni su nastro magnetico e i filmati. In questo tipo di osservazione, più che l’aspetto quantitativo dell’informazione, hanno particolare rilevanza le componenti qualitative e contenutistiche, che richiedono, però, l’uso di specifiche procedure di analisi.

 

d) L’osservazione scientifica

L’osservazione scientifica è quella che avviene nel corso di un esperimento: si differenzia essenzialmente dalle altre forme di osservazione per il fatto che il ricercatore gradualmente individua, attraverso questo metodo di osservazione, i propri errori procedurali nella raccolta dei dati, per poi affinare il procedimento stesso, correggendolo, in vista di nuove ricerche. Come già si è detto, la Psicologia è stata riconosciuta come disciplina scientifica quando ha sviluppato dei mezzi procedurali e strumentali che limitassero o correggessero gli errori intervenenti nella raccolta dei dati; errori determinati sia dalle variabili soggettive del ricercatore (pregiudizio), sia alle variabili legate agli strumenti di raccolta di dati.

L’osservazione scientifica, quindi, si basa unicamente su osservazioni controllate e fatte in relazione ad un determinato problema che il ricercatore stesso ha più o meno delimitato; il ricercatore riesce nella sua osservazione nella misura in cui può limitare la sua attenzione a quegli aspetti dell’indagine che lo hanno maggiormente colpito. Infine, le osservazioni del ricercatore devono essere compiute in condizioni esplicitamente precisate, per dare informazioni ad altri studiosi su come controllare e ripetere le osservazioni presentate.

 

e) L’osservazione partecipante

In riferimento al criterio del grado di partecipazione dell’osservatore e della consapevolezza dei soggetti di essere osservati, il massimo di coinvolgimento si ha nella cosiddetta osservazione partecipante che permette la raccolta delle informazioni o da parte di un membro del gruppo bersaglio che si improvvisa osservatore o da un professionista che riesce a farsi accettare dal gruppo come osservatore. In questo metodo di osservazione, che viene utilizzato prevalentemente per l’analisi di situazioni relazionali e sociali, come ad esempio la vita di gruppi più o meno strutturati, le caratteristiche di alcune comunità ecc., colui che raccoglie le informazioni deve assumere la posizione di osservatore discreto, partecipando e mimetizzandosi nella situazione che intende osservare; l’osservatore, come afferma Fraisse, “tenta di osservare senza essere visto”. Tutto ciò, da un punto di vista metodologico, solleva grosse problematiche in quanto non è facile conciliare una partecipazione autentica, alla vita del gruppo, con il distacco necessario per l’osservazione oggettiva dei fatti ed è anche difficile vivere in gruppo senza assumere ruoli o posizioni sociali che ne modifichino la dinamica e le strutture. Nonostante tutto ciò, la letteratura sociologica e piena di esempi di ricerche condotte utilizzando la tecnica dell’osservazione partecipante. Vi sono ricercatori, ad esempio, che si finsero vagabondi per studiare le caratteristiche dei gruppi di homeless, o che si finsero adepti di qualche movimento religioso, per studiarne le caratteristiche dinamiche, persuasive, captative (strategia di tipo seduttivo) e di condizionamento. Il motivo che ha spinto i ricercatori a fingersi membri ingroup (di un gruppo ristretto-esclusivo) è stato determinato dalla convinzione che se i membri del gruppo, in oggetto di studio, si fossero accorti di essere osservati da un ricercatore si sarebbero comportati in modo non più naturale, ed anche dal fatto che l’essere ingroup, quindi coinvolti nelle dinamiche gruppali, permette di sperimentare delle relazioni di tipo amicali, dalle quali trarre informazioni di carattere emotivo, simili a quelle vissute realmente dai membri effettivi del gruppo. L’osservatore, quindi, ha modo di accedere a delle informazioni che non potrebbero essere ottenute facilmente guardando le cose dal di fuori, in modo distaccato. Gli inconvenienti di questo metodo di osservazione sono evidenti, infatti, in base a quanto detto nella descrizione dell’osservazione sistematica e sperimentale, tanto più un osservatore partecipa attivamente ed emotivamente alla vita di un fenomeno che sta studiando, tanto minore sarà la sua obbiettività (simile alla sindrome di Stoccolma). Ciò accade perché l’osservatore per inserirsi e farsi accettare come membro in un gruppo deve sia acquisirne le regole, sia viverne le “tragedie”, cosa che può condizionarlo a tal punto da non permettergli più una totale imparzialità nella raccolta dei dati: egli reagirà piuttosto che prender nota degli eventi. L’imparzialità diminuisce all’aumentare del tempo di permanenza e di integrazione all’interno del gruppo bersaglio, infatti, può accadere che con l’aumentare dell’integrazione l’osservatore cominci a considerare normali certi comportamenti che prima erano considerati interessanti dal punto di vista “scientifico”, tanto da ometterli nelle registrazioni quotidiane. Ciò significa che più un osservatore partecipa alla vita del fenomeno che indaga, tanto più la sua esperienza diventa irripetibile per altri osservatori.

A proposito di questi problemi, in un volume che in Italia ha avuto un certo successo, Gilli (1971) attacca decisamente i metodi tradizionali di ricerca in quanto, a suo avviso, sono organizzati e strutturati esclusivamente in funzione di un prelievo, di un’operazione puramente conoscitiva che non deve essere influenzata da fattori di disturbo. Questo disturbo deriva dal fatto che, nell’esercizio delle tecniche, il ricercatore viene a contatto con persone, con valori ed interessi concreti, con bisogni. La metodologia tradizionale guarda con sfavore a questi contatti, li considera una specie di male necessario, e impone al ricercatore un codice di comportamento che gli ricordi che questi contatti sociali servono solo a procurarsi informazioni: si entra in una situazione, cioè, non per amore della situazione, ma unicamente in vista delle informazioni che sarà possibile ricavarne. Non che al ricercatore si chieda di essere freddo, insensibile, di evitare i contatti umani, e di tornare il più presto possibile nel suo studio, tutt’altro, il ricercatore deve essere sereno, amichevole aperto; disponibile, comprensivo, ecc., nella misura in cui questo comportamento serve ad assicurare la collaborazione dell'oggetto. Tutto ciò svolge la sua vera funzione, che è quella di mascherare il fatto fondamentale del potere della ricerca, e cioè, del potere tecnico del ricercatore, e, soprattutto, del potere sociale per conto del quale il ricercatore agisce.

Il disturbo nella situazione prodotto dalla presenza dell'osservatore è un fatto reale anche per Gilli, ma, nella sua analisi, è collegato al fatto che l'osservatore è percepito come un estraneo fornito di potere, per tutto ciò, quindi, non è corretto che si mimetizzi nella situazione, deve, di contro, dichiarare esplicitamente di essere un ricercatore anche se la cosa può suscitare spesso imbarazzo, ma il ricercatore deve analizzate questo imbarazzo e capire cosa veramente significa: significa che l'oggetto gli pone resistenza, non tanto a lui come persona, quanto a lui come fornito di potere. Cercare di camuffarsi per eludere questo imbarazzo significa allora cercar di nascondere o di tirar via il potere che opera nella ricerca, operazione che riesce solo a stravolgere o a far fallire la ricerca. Gilli continua affermando che, non è un pericolo modificare la situazione, in quanto è proprio questo l’obiettivo ultimo di una ricerca partecipante e se ciò non avviene potrebbe essere considerato come un sintomo del fatto che la ricerca è stata male impostata, che non ha individuato i veri personaggi o il vero problema della situazione. Da quanto detto, è evidente che per quest’autore il metodo dell’osservazione non si differenzia da quello dell’intervento: una ricerca acquista significato, rilevanza e legittimità solamente se produce un cambiamento nella realtà che indaga. Per quanto riguarda la possibile perdita di obiettività nell’osservazione operata dal ricercatore, Gilli, non dà nessuna indicazione.

A conferma della posizione di Gilli esistono le innumerevoli ricerche sociologiche, caratterizzate dal fatto che gli osservatori si inserivano nell’ambiente in oggetto di studio come membri della “famiglia”, come partecipanti alle attività della comunità, facendosi, però, immediatamente riconoscere come ricercatori e dichiarando subito che il loro scopo era di raccogliere informazioni, e, tutto ciò, sembra non aver mai creato dei problemi nella obiettività e nella validità della ricerca.

 

L’attendibilità dell’osservazione

 

Uno dei primi problemi che deve affrontare un ricercatore, che intende usare la tecnica dell’osservazione, è quello concernente la sua obbiettività e gli strumenti adottati per la raccolta delle informazioni.

 

L’inattendibilità e l’attendibilità dell’osservazione

L’inattendibilità di un osservazione è dimostrata quando due misurazioni dello stesso fenomeno tendono a differenziarsi troppo e per la presenza di un disaccordo tra più osservatori.

L’attendibilità di un osservazione, mentre, è dimostrata quando c’è corrispondenza tra gli osservatori, ossia quando l’osservazione di uno stesso fenomeno condotta da più osservatori risulta essere concordante.

L’osservatore come fonte di errore

Numerose ricerche hanno evidenziato come osservatori diversi forniscano dello stesso fenomeno osservazioni e valutazioni molto spesso fra loro contrastanti: la prima fonte di errore sembra essere la personalità di colui che osserva; in base alle circostanze, alle sue opinioni, ai suoi pregiudizi, ai suoi interessi, un osservatore può involontariamente “vedere cose” non esistenti nel fenomeno osservato. Se tutto ciò non bastasse, sembra inoltre sufficientemente dimostrato che l’obbiettività di un’osservazione viene notevolmente compromessa nel caso in cui i soggetti osservati sono consapevoli di essere oggetto di osservazione: sono stati individuati, a questo proposito, alcuni effetti distorcenti non dovuti ad errori sperimentali, ma unicamente dall’effetto psicologico derivante proprio dalla consapevolezza di essere oggetto di osservazione da parte di un gruppo di ricercatori. Famosi, al riguardo, sono l’effetto Hawthorne e quello che va sotto il nome di effetto edipico della predizione (pigmalione): il primo è rappresentato da quell’insieme di fenomeni che fanno modificate il comportamento di un gruppo di persone solamente per il fatto che un’attenzione speciale viene ad esso dedicata da patte dei ricercatori che conducono l’osservazione; il secondo indica la tendenza dell’individuo o del gruppo a comportarsi cosí come ci si aspetta che faccia. Il richiamo all'episodio di Edipo indica che egli incontrò ed uccise il padre e ne sposò la moglie solo perché l'oracolo gli aveva predetto questa sorte. Se la predizione non fosse stata fatta, Edipo non sarebbe andato in cerca del padre e forse la sua storia sarebbe stata notevolmente diversa.

Questi due effetti sono stati chiaramente evidenziati in due famose ricerche.- la prima appartiene ad un gruppo di colleghi di Elton Mayo che, conducendo le prime ricerche di psicologia industriale, ottenne una fama considerevole, ma anche gli insuccessi più clamorosi (Brown, 1954). Il nome dell'effetto deriva da un sobborgo di Chicago (Hawthorne) in cui aveva sede un'officina della Western Electric Company, dove Roethlisberger et al. (1939) conducevano delle ricerche sulle conseguenze prodotte da una migliore illuminazione sul rendimento lavorativo degli operai. I ricercatori, loro malgrado, furono costretti a constatare come l'aumento di produttività registrato non fosse dovuto alla variabile da essi considerata (miglioramento delle condizioni di lavoro), ma unicamente all'attenzione che essi dedicavano al gruppo di operai impegnati nel reparti in cui conducevano le loro indagini.

L’altra ricerca cui si faceva riferimento è stata condotta da Rosenthal e Jacobson (1968), che osservarono in un contesto scolastico questa volta, un effetto analogo a quello registrato nelle officine di Hawthorne: è stato sufficiente comunicare ad un gruppo di insegnanti che alcuni dei loro allievi, i cui nominativi erano stati individuati dai ricercatori in forma casuale, stavano registrando una notevole ed improvvisa maturazione intellettuale (verificata -si disse- tramite la somministrazione di alcune prove di intelligenza) per ottenere, in effetti, in questi stessi alunni, dopo alcuni mesi, un successo scolastico significativamente superiore a quello registrato mediamente dagli altri membri del gruppo classe.

L’effetto Hawthorne e l’effetto edipico della predizione (pigmalione), mettono chiaramente in risalto i pericoli che un osservatore può correre durante l’esplicazione della propria attività: tutto ciò potrebbe richiamare da un lato, la necessità di individuare gli attributi di un “buon osservatore” e, dall’altro, alcuni strumenti di “reclutamento” di osservatori che non deformino i fenomeni osservati.

A tutt’oggi, tuttavia, non si è in grado né di elencare questi “attributi”, né si posseggono gli strumenti sufficientemente validi per effettuare una qualsiasi selezione.

 

Quando e cosa osservare

Ogni insegnante, quotidianamente, ha numerose possibilità di compiere delle osservazioni che possono risultare molto utili al fine di una approfondita conoscenza dei propri alunni. Una prima occasione è offerta dai periodi di tempo che precedono e seguono l’orario scolastico; l’osservazione del comportamento dell’alunno durante il tragitto che quotidianamente compie per recarsi a scuola, permette generalmente di raccogliere alcune informazioni che di solito sfuggono all’osservazione dell’alunno in classe: è, infatti, possibile assistere a scenette che sono indicative del tipo di relazioni sociali, del carattere e delle amicizie, che l’alunno attiva in una situazione non controllata.

L’osservazione degli alunni durante la ricreazione, ad esempio, permette agli insegnanti di constatare quali tra i suoi alunni partecipino più attivamente ai giochi di gruppo, quali rimangono appartati, quali prendano più spesso l’iniziativa di proporre nuove attività, quali assumano comportamenti aggressivi e così via. Anche una gita scolastica è un’occasione di osservazione da non perdere: gli scompartimenti del treno o i sedili del pullman rappresentano altrettante piccole cellule che facilitano la formazione dei gruppi in base alle affinità di carattere. Trovarsi isolati o spaesati in una città sconosciuta o in qualsiasi luogo può far emergere dei comportamenti che un insegnante difficilmente potrebbe osservare in circostanze normali.

L’osservare il comportamento dell’alunno mentre si reca a scuola, durante l’intervallo o la gita scolastica, è un’occasione di raccolta di informazioni che possono essere annotate in forma discorsiva su diari, ad esempio, che il docente può aggiornare periodicamente. Il limite di questo tipo di osservazioni è tuttavia legato a tre tipi di considerazioni:

a)     al fatto che la scelta dei comportamenti da osservare può essere dovuta alla loro eccezionalità o al valore emotivo-affettivo che ad essi può attribuire l’insegnante;

b)    all’assenza della precisazione delle condizioni nelle quali i fatti osservati si manifestano, non permettendo, in tal modo, di stabilire l’eventuale dipendenza del comportamento da precisi fattori ambientali e situazionali;

c)     alla mancanza di indicazioni quantitative relative all’intensità e alla frequenza di comparsa dei comportamenti.

Quando un insegnante é interessato all'osservazione di un alunno che presenta alcuni problemi di comportamento, o di un sottogruppo che ha determinate caratteristiche, sarebbe opportuno che individuasse quelli che, nell'approccio comportamentistico, vengono definiti comportamenli-meta e comportamenti-bersaglio, per tendere più precise le sue osservazioni. li comportamento-bersaglio (target bebavior) è quelle che si desidera vedere modificato in quanto ritenuto disadattivo; quello meta (goal behavior) rappresenta il tipo di comportamento che si intende attivare nell'alunno. In Pierino, ad esempio, il suo isolamento può essere considerato un comporta m en to-bersaglio, mentre la manifestazione di rapporti collaborativi con i compagni sarà definibile come comportamento-meta.

 

Come osservare

Un primo modo per evitare di commettere errori di osservazione può essere quello di considerare, come si diceva, le condizioni che più di altre favoriscono l’instaurarsi di distorsioni.

Innanzitutto nella nostra attività di osservazione dovremo costantemente ricordare:

a)     che tutto ciò che osserviamo allo stato naturale è organizzato; nulla è privo di significato;

b)    che il nostro modo di osservare è selettivo: non esistono fatti  imparziali, i dati sono percepiti ed interpretati secon       do le esigenze contingenti dell'individuo che osserva;

c)     che il modo con cui noi osserviamo una parte dipende da come noi consideriamo il tutto. In presenza di un pregiudizio nutrito nei confronti di un determinato gruppo, siamo portati a percepire il comportamento di un membro appartenente a quel gruppo in modo diverso da come lo percepiremmo se, quello stesso individuo o quello stesso comportamento, si manifestasse in un gruppo nei confronti del quale non nutriamo pregiudizi;

d)    gli avvenimenti che si verificano a breve distanza di tempo, l’uno dall’altro, tendono ad essere considerati come appartenenti ad una medesima struttura e, a volte, proprio per questo vengono erroneamente ritenuti uno causa dell’altro.

Nell’osservazione, inoltre, si dovrà procedere per fasi, dinamicamente collegate, ma operativamente distinte, che prevedono:

1)     definizione accurata dell’oggetto dell’osservazione (che cosa osservare);

2)     la registrazione immediata degli aspetti qualitativi e quantitativi dell’oggetto di osservazione, per evitare il ricorso alla memoria;

3)     il commento e l’interpretazione degli aspetti qualitativo – quantitativi registrati.

Dopo aver preventivamente definito il fenomeno che si intende osservare (utilizzando, ad esempio, una check-list o un sistema più p meno dettagliato di categorie che dovranno essere esaustive e reciprocamente esclusive, per evitare che uno stesso comportamento possa essere contemporaneamente riferibile a più categorie), sarà opportuno procedere alla registrazione delle osservazioni, astenendosi da ogni forma di interpretazione.

Molti equivoci, anche tra gli insegnanti, sorgono abbastanza spesso per il fatto, che, alcune situazioni vengono riferite in modo inesatto: il comportamento di un alunno, ad esempio, potrebbe essere considerato in termini di disciplina o di autonomia ed indipendenza. In casi come questi il disaccordo potrebbe essere dovuto ad errori (inadeguata definizione del comportamento di disciplina e di autonomia, interferenze interpretative, ecc.) commessi da un insegnante o dall’altro o da entrambi, al momento dell’osservazione o nel momento di riferire le modalità comportamentali dell’alunno. Invece di lasciarsi prendere dalla tentazione di giungere a conclusioni, che potrebbero risultare per lo meno premature, sarebbe più opportuno che l’osservatore predisponesse le sue osservazioni in modo tale da permettere ad altri eventuali controlli, per la valutazione della correttezza delle sue operazioni, rinviando ad altro momento l’interpretazione e il significato, anche educativo, di quanto osservato.